La predominanza delle insegnanti in Italia è una realtà che esiste fin dalla fine del XIX secolo, subito dopo l’unificazione dell’Italia. Oggi, la percentuale di insegnanti donne è ancora leggermente aumentata, passando dall’80% all’83% negli ultimi dieci anni. Nelle scuole elementari, le maestre rappresentano fino al 95% del corpo insegnante. Tuttavia, per quanto riguarda i presidi, per lungo tempo ci sono stati due uomini ogni tre posti: questo almeno fino agli anni 2000. Solo negli ultimi concorsi, l’ultimo dei quali tre anni fa con quasi tremila posti disponibili in ottomila scuole, il bilanciamento si è spostato a favore delle donne.

Il motivo? Gli uomini si sono progressivamente allontanati dall’insegnamento, principalmente a causa di retribuzioni troppo basse rispetto ad altre professioni. La predominanza delle donne nel corpo insegnante è quindi la diretta conseguenza di molti fattori, tra cui:

Differenze salariali: nel settore dell’istruzione, i salari degli insegnanti maschi sono significativamente più bassi rispetto ad altre professioni con lo stesso livello di istruzione richiesto. Questa differenza salariale è meno accentuata per le donne.

Possibilità di progressione in carriera: escludendo la possibilità di differenze retributive basate sul genere nello stesso profilo professionale, sembra che la differenza di trattamento derivi dalle diverse opportunità di progressione in carriera, che tendono ad essere più ampie per gli uomini. Nel caso del settore dell’insegnamento, la progressione in carriera risulta in generale essere molto limitata o addirittura inesistente.

Salari bassi: al netto di quanto detto sopra, e in aggiunta c’è il fatto che i salari bassi rendono l’insegnamento poco attraente per gli uomini, specialmente quando ci sono lavori meno qualificati ma meglio retribuiti o con maggiori opportunità di sviluppo di carriera disponibili.

Discriminazione di genere: riteniamo che la discriminazione di genere ha contribuito alla predominanza attuale delle insegnanti donne in questo settore. Le donne, infatti, specie nell’Italia maglia nera per quello che riguarda l’occupazione femminile fra i paesi europei, riescono a trovare più facilmente opportunità di lavoro in settori che sono tradizionalmente considerati “sottovalutati” o legati alla fantomatica predisposizione naturale alla cura, come anche – è facile comprendere – l’insegnamento nella scuola dell’infanzia e primaria. Al contrario, è possibile che alle donne venga dato meno spazio nell’istruzione terziaria, quasi tutta al maschile, a causa dell’alta considerazione riservata a coloro che intraprendono una carriera accademica.

Fatte queste debite premesse, è facile ora leggere con la giusta prospettiva la notizia che tanto ha attirato l’attenzione in questi giorni riguardo le cosiddette “quote blu”. Le norme per il riequilibrio di genere nelle PA, i richiami formali, e non, alla partecipazione delle donne e di tutte le comunità minorizzate, le battaglie per la doppia preferenza di genere, per i panel mai più tutti al maschile nei convegni e negli appuntamenti pubblici, il rispetto e la considerazione di voci che non siano già ascoltare o agevolate per il solo fatto di appartenere ad una classe privilegiata sono tutti atti dovuti per fare si che alla partecipazione democratica della vita della comunità possano portare il loro contributo, e la loro voce, tutte le cittadine e i cittadini italiani.

Non ci stupisce dunque che questo governo di destra, che vuole riportare la donna da dove è venuta emancipandosi, ossia in posti di servizio, di riproduzione sociale, raccontando una famiglia tradizionale che neanche riesce a rappresentare in prima istanza, che vuole regalare i soldi destinati al cinema e alla cultura perchè tanto c’è di più importante e urgente, provi oggi a raccontare questo triste passaggio concorsuale strizzando l’occhio a tutto il maschilismo tossico e al patriarcato che è alla base di tante discriminazioni, dell’odio verso le differenze.

 

Marielisa Serone D’Alò
Responsabile Diritti Partito Democratico Abruzzo