Bella la festa del cioccolato che ha animato per quattro giorni con profumi e golosità le vie del nostro centro storico. Negli stessi giorni a Teramo è andato in scena il terzo Forum Internazionale del Gran Sasso a cui hanno preso parte il presidente emerito della Corte costituzionale, il Ministro dell’Università e della Ricerca e il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte. Si terrà invece tra 10 giorni la quinta edizione del Festival nazionale della partecipazione, non più all’Aquila come nei quattro anni precedenti bensì a Bologna che ha lottato per portarlo in città mentre da noi si lottava per chiuderlo. L’Aquila, nei tre giorni di laboratori, conferenze e dibattiti sulle nuove forme di politica e cittadinanza, sarà presente solo attraverso la partecipazione nei tavoli di concittadini ed esperti che porteranno nel capoluogo emiliano il know how acquisito nei processi della ricostruzione aquilana.

No, non voglio tornare sulla polemica relativa alla guerra ideologica condotta dal sindaco nei confronti di quei mondi culturalmente lontani dal suo, di cui oltre al Festival della partecipazione hanno fatto le spese il Festival della montagna e quello degli incontri. Il punto è un altro e riguarda gli effetti di questo approccio miope e autoreferenziale. L’Aquila sta perdendo la centralità che in questi anni aveva ottenuto in virtù della sua tragedia ma anche della sfida di rinascita che aveva davanti a sé. L’Aquila che è stata nell’ultimo decennio al centro di attenzioni internazionali sta tornando lentamente alla sua dimensione provinciale con l’acquiescenza di coloro che vivono di rendite e di una politica cittadina che ha mirato a distruggere senza proporre alternative. Peggio ancora, fuori dalle condizioni economiche di vantaggio previste dalla ZES o dalle opportunità legate all’infrastruttura su ferro del corridoio trasversale Tirreno-Adriatico, scompare giorno dopo giorno anche dalle partite strategiche regionali.

La dimensione globale dell’emergenza coronavirus ha rimescolato le priorità anche nel nostro Paese ridimensionando inevitabilmente la specificità legata al terremoto. È vero. È altrettanto evidente però come dopo 10 anni il tema su cui provare ad affermare una nuova centralità non può essere più quello della ricostruzione semmai quello delle strategie di rilancio socio-economico post emergenza, su cui noi ci siamo misurati in questi anni e su cui il Paese si gioca il proprio futuro. Paradossale ed emblematico in tal senso che nessun contributo di merito o di metodo giunga dall’Aquila alla discussione nazionale, addirittura preoccupante che non emerga un solo progetto, una sola idea su cui L’Aquila rivendichi attenzione rispetto agli obiettivi indicati nelle linee guida sul recovery found.

Sembra che con la ricorrenza del decennale dal sisma del 2009 si sia chiusa una fase e che all’idea di città della conoscenza, nuova, aperta al mondo, si vada sostituendo lo stereotipo della città abruzzese tutta arrosticini e genziana, per carità, buoni e identitari, ma su cui non può certo poggiare un’idea di futuro. L’Aquila perde centralità perché, senza più una visione né obiettivi da seguire, sta smarrendo se stessa.

Bella la festa del cioccolato, ma L’Aquila ha bisogno d’altro, di ritrovare entusiasmo, protagonismo ed effervescenza culturale. Saprebbe farlo, se solo trovasse il coraggio di rialzare la testa.

Stefano Palumbo
Capogruppo del PD in consiglio comunale