La proposta di convocare a Firenze una manifestazione delle città aderenti alla rete Eurocities è, probabilmente, nel panorama delle iniziative contro il conflitto in Ucraina, quella destinata a suscitare la più profonda delle riflessioni. E bene ha fatto il Partito Democratico a dichiarare la sua adesione.

Chiamare a raccolta questa rete, all’indomani del recente incontro dei sindaci e dei vescovi del Mediterraneo tenutosi proprio a Firenze, è la cosa che può dare una delle possibili risposte alla domanda che in molti ci facciamo: “Io che posso fare?”.

L’approccio della “diplomazia delle città” che in Giorgio La Pira ha visto la sua frontiera più avanzata, va recuperato e declinato con gli strumenti (anche normativi) che ad ogni livello siamo chiamati a mettere in campo. Questo è possibile e necessario se si considera che, come Dario Nardella spiega nel messaggio con il quale ha convocato l’incontro, “attraverso network come Eurocities, attraverso gemellaggi e patti di amicizia le città riescono a costruire relazioni forti. Ci scambiamo fiducia, conoscenza, solidarietà”.

Ernesto Balducci, in un intervento all’Assemblea nazionale degli enti Locali per la Pace il 15 marzo 1991, diceva proprio questo: “Non c’è più città nemica di una città. Ci può essere un governo nemico di un governo: ci vuole poco ad essere nemici del governo di Saddam (era da poco finita la prima guerra del Golfo)…ma non può essere Perugia nemica di Baghdad. Colpire Baghdad è colpire Perugia”.

Ecco qual è il significato dell’iniziativa del 12 marzo: restituire alle città il protagonismo nella costruzione di un edificio di pace che possa reggere di fronte ai colpi di una guerra come quella in corso che – ricordiamolo – non è l’unica alla quale il nostro pianeta sta assistendo. Francesco (il papa), del resto, già nell’agosto 2014 parlava della “Terza guerra mondiale a pezzi”: era ed è così, anche se sono davvero poche le voci che ne parlano.

Nello scenario di questi giorni, quello che possiamo fare è, quindi, insistere perché le reti tra le città siano sempre più potenziate; perché i contatti, i gemellaggi, le relazioni tra città siano sempre più sostenuti; perché si coltivi una cultura pacifista adulta e matura che vada oltre le bandiere arcobaleno e il vessillo ucraino e metta nelle mani dei cittadini strumenti concreti per costruire ponti. Questo, a ben vedere, può e deve valere anche tra Istituzioni educative e culturali (come i tanti progetti europei ci hanno insegnato e quotidianamente ci dimostrano) o tra soggetti che operano in campo ambientale, la frontiera che coinvolge la popolazione dell’intero pianeta.

La prospettiva della “diplomazia delle città” non deve suonare come una contraddizione, quella di chi ritiene che i comuni non sono soggetti istituzionalmente titolari dell’attuazione di politiche internazionali.

Lorenzo Kihlgren Grandi, nel manualetto “Diplomazia delle città. Strumenti e pratiche per una centralità strategica internazionale” (Milano, Egea, 2021) sottolinea, anzi, che, in questa partita, le città hanno più di un vantaggio. Tra essi, ad esempio, quello di essere la più antica delle istituzioni politiche (che in molti casi precede la fondazione dei rispettivi Stati nazionali) e di avere un ruolo centrale nelle politiche che valorizzano la sussidiarietà.

Aggiunge, poi, il fatto che negli ultimi anni si è notevolmente accresciuto il numero delle reti di città che consentono ad esse di vivere e di muoversi all’interno di coordinamenti di livello anche internazionale.

Una ulteriore dimostrazione viene anche da una constatazione: ogni politica per la tutela dei diritti (tutti i diritti per tutti, come ammonisce da sempre il “Coordinamento degli enti locali per la Pace e i diritti umani”), premessa della pace, passa inevitabilmente attraverso le scelte sui territori e gli obiettivi di queste politiche sono più facilmente raggiungibili solo attraverso la proficua imitazione delle buone pratiche e la realizzazione concreta che nasce da confronti e dialoghi.

Si pensi, ad esempio, agli obiettivi dell’Agenda 2030 (sottoscritti da 193 paesi dell’ONU) che chiede anche alla responsabilità delle singole municipalità di mettere in campo decisioni e strumenti attuativi. Prendiamo l’obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili. Qui il ruolo delle città (di tutte le città dei Paesi aderenti) è evidentissimo ed è in questa prospettiva che esse hanno il dovere di incontrarsi e parlarsi per metterlo in atto insieme.

É per questo che la stessa dichiarazione di Firenze, firmata due giorni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, “riconosce  il ruolo chiave della diplomazia a livello urbano nella promozione di uno sviluppo umano integrale e sostenibile basato sul rispetto della dignità e dei diritti fondamentali di ogni essere umano”.

Che fare, dunque?

Il momento attuale va colto perché l’attenzione provocata dal conflitto, oltre a metterci dalla parte di chi soffre e di chi subisce la violazione dei diritti, stimoli anche la predisposizione di strumenti che rendano la “diplomazia delle città” una scelta sempre più chiara.

Convocarci per offrire alla riflessione pubblica questo percorso e fare in modo che non resti solo lo scambio di strette di mano nella cornice di Palazzo Vecchio è il primo passo.

Le invocazioni di quella Dichiarazione devono trasformarsi innanzitutto in consapevolezza collettiva e, quindi, in impegni dei Governi. Andiamo!

Simone Dal Pozzo
Responsabile Dipartimento “Diseguaglianze e Agenda 2030” PD Abruzzo