Il “Piano nazionale borghi” nell’ambito del Recovery plan del Governo, che prevede una dotazione finanziaria di un miliardo di euro, offre più di una riflessione sull’importanza di questo tema, ricco di implicazioni socio-economiche, oltre che culturali, e invita a creare una sorta di piattaforma virtuale per un attivo confronto tra istituzioni, associazioni e le stesse comunità, protagoniste di una realtà in declino e abbandono, ma ricca di fecondi stimoli innovativi per un futuro minacciato dalla ricerca di mete apparentemente più appetibili.

E’ necessario lavorare sulla ricostruzione fisica dei piccoli paesi montani, ulteriormente danneggiati da calamità naturali che si sono succedute nel tempo, senza tralasciare gli aspetti della ricostruzione sociale e della formazione, strategica in questo settore, per consentire adeguate riflessioni sulla rinascita di questi antichi borghi.

Una ricostruzione sociale che, se attuata secondo parametri culturali, economici, ambientali porterà al recupero sostenibile della montagna appenninica e collinare, prezioso avamposto quest’ultimo di ecosistemi ambientali verso i quali le zone costiere guarderanno con attenzione per liberarsi del carico di un’eccessiva antropizzazione.

E accanto all’obiettivo di una ricostruzione del tessuto connettivo sociale, sorgono molteplici suggestioni che dovranno, in un futuro molto prossimo, essere oggetto di discussione: dal recupero dell’autenticità dei borghi per un approccio turistico sostenibile alla creazione di alberghi diffusi; dalla riorganizzazione dei servizi essenziali, come scuole, postazioni mediche, mobilità sostenibile, uffici postali alla digitalizzazione dell’intero territorio antropizzato; da processi di inclusione sociale all’assistenza nella creazione di start up; dal recupero di attività tradizionali e di prodotti locali alla creazione di una rete di musei minori e piccole attrazioni artistiche. Il tutto per ricreare quei paesaggi culturali che hanno sostanziato la vita delle comunità che, nel tempo, l’hanno abitato, costituendo un mix di tradizioni storiche, in senso stretto, culturali, enogastronomiche, oltre che connesse agli antichi mestieri.

Il borgo oggi può rappresentare un modello di vita alternativo a quello urbano e metropolitano, che può risultare attrattivo anche oltre il tempo della vacanza (come luogo di vita e di lavoro) ed in cui la lentezza non significa rifiuto della contemporaneità. Anzi, il borgo diventa  attrattivo per l’abitante del luogo e per il turista  della nuova normalità post-pandemica proprio in quanto “non-museo” ma realtà viva in cui sentirsi cittadino o visitatore di un tempo breve ma di tipo esperienziale.

Non si tratta solo di ricostruire dunque ma di affrontare questioni ambientali, infrastrutturali, economiche, sociali perché ciò che dev’essere reinventato è il senso di un “luogo” che, mentre non perde la memoria, la utilizza per un nuovo slancio vitale che non guarda al passato se non per dare senso a quello che verrà.

E questo vale per le comunità che vi abitano quanto per il turista che vi arriva, alla ricerca del passato ma per viverlo nel presente. Gli esperti del turismo conoscono bene e da tempo questi paradossi: la ricerca del genuino che però richiede tecnologia, la domanda di sostenibilità ambientale che impone organizzazione avanzata nella sua gestione, la voglia di isolarsi rimanendo connessi attraverso lo smartphone.

Se guardiamo, dunque, alla complessità di portare un borgo nella modernità sostenibile, sorge legittimo il dubbio se non avrebbe senso concentrare tutte le risorse per formulare un progetto pilota che si proponga come benchmark credibile per il futuro. Un modello ”virtuoso” da esportare nelle centinaia di altre realtà appenniniche, messe a sistema e aggregate da norme e regole che lascino spazio all’unicum del singolo paese costituituendo una massa critica per una progettazione anche di calibro europeo.

Sarà quindi onere della politica: promuovere la diffusione di comunità energetiche, ridurre il rischio idrogeologico, attrezzare nuovi prodotti turistici legati al cluster del “turismo attivo e sostenibile” (dai cammini alle ciclovie), favorire lo sviluppo di filiere locali del legno, realizzare l’infrastruttura leggera della rete unica in tempi certi anche nelle aree bianche, incentivare lo smart working e defiscalizzare servizi e attività economiche di qualità che qui investono in lavoratori residenti e in centri innovativi di coworking. Per accelerare un cambio di passo, in particolare, sarebbe importante istituire una linea di finanziamento “Smart Working Borghi”, con agevolazioni fiscali per l’insediamento di centri di ricerca e impresa digitale di prossimità nei piccoli comuni, incentivando la nuova residenzialità legata all’uso di spazi abitativi abbandonati e recuperati.

Prioritario, inoltre, dare immediata attuazione a dispositivi normativi come la legge Salva Borghi o le green community inserite nel Collegato ambientale, per mettere i piccoli centri nelle condizioni di competere ed esprimere il loro potenziale di professionisti e studenti con progetti digitali diffusi a distanza in tutto il mondo.

Dunque è necessario puntare i riflettori sul ruolo strategico dei piccoli Comuni nel rilancio del Sistema Paese.

I piccoli Comuni necessitano di risorse certe e politiche forti per promuovere la rivoluzione energetica e l’economia circolare, sviluppare il turismo di prossimità e la multifunzionalità dell’agricoltura, favorire una mobilità e una gestione forestale sostenibili, colmare il digital divide, semplificare le procedure per la messa in posa della banda ultralarga e implementare l’agenda digitale. Queste le direttrici fondamentali lungo cui muoversi per innescare processi innovativi e sostanziali: perché i borghi possano essere motore propulsore della transizione ecologica e digitale, tre le opportunità – quella residenziale, quella agricola e quella turistica – per contrastare, secondo criteri di economia circolare, lo spopolamento, l’invecchiamento e la denatalità di ampia parte del territorio.

La pandemia ha posto all’attenzione di tutti la necessità di ripensare la fruizione dei territori e il Pnrr rappresenta un’occasione unica perché borghi e aree interne tornino ad avere la centralità che meritano, per riequilibrare storici divari e dare nuovo slancio alla lotta alla crisi climatica.

Una ricostruzione dei borghi e delle aree interne montani senza una nuova progettualità di sviluppo finirebbe, dunque, per creare luoghi vuoti, privi di vita e di futuro e si finirebbe per disperdere un immenso patrimonio di valori, storia ed emozioni.

Manola Di Pasquale
Presidente e Responsabile Politiche per la Ricostruzione PD Abruzzo